Un giorno qualunque
Era un giorno qualunque. Non ricordo neanche quale fosse il giorno della settimana, forse mercoledì o giovedì. Dovevo lavorare come il solito e stavo apprestandomi come tutti i giorni ad andare in stazione, a prendere il treno per Carmignano alle sei e mezzo circa. Ero ormai pronto alla mia vita di sempre, ad andare in fabbrica. Però non era un giorno qualsiasi, non sapevo che era destinato ad essere speciale, a cambiare tutta la mia vita. Stranamente non in peggio, come ognuno sarebbe pronto comunemente a pensare. Ma per rendere comprensibile il tutto a questo punto è meglio fare un inciso, un volo di qualche anno. Devo raccontare che …
Siamo nel 2010 e stavo leggendo il libro INDACO di Paola Giovetti al punto in cui una mamma descriveva l’incredibile storia che le era accaduta (lascio spazio al libro il quale racconta più adeguatamente quanto è successo) e diceva che suo figlio era nato il 22.5, giorno di S.Rita da Cascia (la santa degli impossibili). Questo ha fatto risuonare nella mia testa un campanellino. Avevo fatto l’ictus in quel giorno o al 25?
Sono andato a controllare perché ho tutta la documentazione presentata all’ULSS e quindi anche il giorno incriminato. Era proprio quello. L’ictus che mi riguardava era stato fatto il 22.5.2003 e si era concluso con una lettera scritta da Villa Margherita il 9.9.2003.
Ma dove sta il bello?direte voi. Intanto in quello che avete letto, poi dovrei raccontarvi molte cose perché quasi tutti gli avvenimenti che sono accaduti dopo di quella data, ma anche alcuni prima, hanno l’impronta dell’eccezionalità, dell’impossibilità. Troppe coincidenze fanno diventare il caso non una eventualità ma una cosa voluta. Per mostrare che quanto ho detto è conseguente dovrei narrare troppe cose. Mi limiterò perciò a scrivere quello che è accaduto quel giorno. Lo voglio tuttavia ripercorrere nella sua interezza. Possiamo farlo con ordine, un passo per volta.
Quel giorno stavo preparandomi ad andare come ogni dì a lavorare. Non ricordo appunto nemmeno quale fosse il giorno della settimana forse, come ho detto prima, era mercoledì o giovedì. La ditta della mia fabbrica era una società costituita da un’unica azienda in quel di Carmignano di Brenta in provincia di Padova. Ero addetto a una macchina che faceva i lavelli d’acciaio in un modo più avanzato, però era rimasta anche la lavorazione tradizionale, veniva costruita con dell’altro macchinario. Anche alcuni miei colleghi facevano quello che predisponevo io.
Erano circa le sei del mattino di una bella giornata piena di sole. In quel momento ho fatto l’ictus. Non ho sentito quasi niente, ma qualcosa era avvenuto. Io ho avvertito solo un po’ di calore alla guancia. Mi sono appoggiato al mobile che mi stava di fronte e nient’altro. Pensavo di aver avuto solo un malessere, così mi è sembrato meglio rimettermi a letto. “Al diavolo! Che lavorassero un po’ i miei colleghi di lavoro” ho rimuginato tra me e me. Io ero indisposto, toccava a loro fare la loro parte e anche la mia.
Stavo in quel momento in un appartamento insieme ad un polacco. Faceva il cuoco in un ristorante e volevo avvertirlo che non mi sentivo bene. L’ho udito passare due, tre volte in fretta davanti alla mia porta e non sono riuscito ad attrarre la sua attenzione. Andava di corsa al lavoro e non immaginava altro. Non mi restava così che guardare la tv in camera. Non rammento più che cosa facessero come programma, forse uno sugli animali, un documentario.
Alle otto, otto e mezzo si sono disassati gli occhi, vedevo doppio, però la cosa non mi preoccupava assolutamente. Guardavo con un occhio solo, ma non era una cosa grave. Solo un malessere. Continuai a guardare la tv, forse mi sono appisolato un po’ davanti al televisore. Non era importante quello che facevo, dovevo solo passare la giornata. Così, davanti alla tele o a fare quel che mi sembrava più appropriato.
Ho pensato di telefonare in ditta, saranno state le dieci, dieci e mezzo, per avvertire che stavo poco bene e non ci sarei perciò andato. Ho trovato un mio collega che era in quel momento nella stanza del centralino e ha sentito come se avessi la bocca impastata o ecceduto nel bere, il mio problema evidentemente si faceva già capire. Ha detto che alla sera quando smetteva sarebbe passato da casa mia.
Tra letto e tv, ho passato tutto il giorno. Non ho neanche tentato di alzarmi a mezzodì e farmi qualcosa da mangiare, sono rimasto in camera a poltrire. Ho guardato la televisione, ho dormito per chissà quante ore. Non mi rendevo conto di quello che stavo facendo perché non era importante per me.
Il pomeriggio, saranno state le sei circa, è venuto questo mio amico con due colleghe, Vera e Veronica, una serba e una romena, che stavano non lontano dalla mia strada. Hanno suonato il campanello … e così mi sono scoperto emiplegico. Ma era stato solo un malessere. … in qualche modo ho raggiunto la porta e così sono riuscito ad aprire loro. Hanno telefonato al 118 per farmi condurre al pronto soccorso dell’ospedale e vedere cosa mi era successo.
Sono rimasto qualche ora in pronto soccorso per fare tutti gli esami del caso, immagino, e alle nove, le dieci mi hanno inviato alla Strong Unit al quinto piano. Strano, ma vero, è che, complice l’inglese che non conosco a fondo, sono rimasto nell’ignoranza. Ho saputo che avevo fatto un ictus una settimana dopo proprio dal collega che era venuto a casa mia e mi aveva trovato nello stato che ho descritto prima.
Una giornata qualunque. Un semplice malessere. Una cosa che non era stata importante per me.
VICENZA, 13.10.2010 GIULIANO P